
di VINCENZO COLI
Vogliamo scommettere che il meraviglioso mondo della cucina sarà presto uno dei più grossi business del pianeta? Su questa possibilità potete puntarci da subito un bel po' di euri. È già un affare da capogiro, la mitologia delle padelle. E c'è già chi ci scommette, e tanto. Altro che corse di cavalli e di cani o partite di calcio truccate. Dove esiste una competizione che alla fine incorona un vincitore, c'è sempre chi corre l'alea, tenta la sorte impegnando parte delle sue sostanze su un nome o su un numero. Si vinca o si perda non importa, quel che conta è il brivido del rischio, impagabile per chi apprezza questo tipo di cose. Si è sempre fatto così. Ma mai fino ad oggi si era giocato dando credito alla fortuna o all'abilità di un cuoco.
Sì, l'arte una volta la più intima e discreta di tutte (le nostre nonne che tenevano nel cassetto chiuso a chiave i loro libriccini con le ricette segrete...) non solo viene ormai appalesata urbi et orbi via parabola satellitare in trasmissioni salottiere o in arene dove corrono sangue e ketchup; non solo incorona principi dei fornelli promossi sex symbol adorati dalle signore più dei divi del cinema; non solo esalta nonnismi e sadismi assortiti da caserma (guardate i talent show culinari dove i maestri si accaniscono contro gli allievi maldestri, roba da far impallidire il sergente cattivo di Full Metal Jacket ); oggi, quello che una volta era il piacere del gusto, viluppo di sensi molto personale e quanto più vicino ad una pratica amorosa, deposto l'antico pudore della nonna è soprattutto un buon pretesto per tirare su soldi. E non tanto facendoli sgorgare legittimamente dal risultato di un buon lavoro compiuto (la catena di ristoranti che piace ai clienti, il libro che insegna il mestiere), bensì da una pura intenzione, da un'ipotesi, un sogno, una valutazione lombrosiana.
L'aspirante chef, maschio o femmina, che vuol diventare famoso e si presenta in video, ha la faccia e la grinta giusta oppure no? Il suo soufflé lieviterà oppure s'ammoscerà? Quasi quasi ci scommetto. Legalmente, si capisce: a raccogliere la puntata ci pensa la società maltese Bet1128, la stessa che è in corsa per comprarsi la Gazzetta dello Sport, infatti si chiamerà gazza-bet. Peccato che la finale di Masterchef che lo scorso 6 marzo ha eletto vincitore, contro ogni previsione, il torinese Federico Ferrero relegando il favorito Almo Bibolotti al secondo posto, ha sollevato un mare di polemiche. Non perché fosse immeritato il premio (il de gustibus della giuria è insindacabile, ci mancherebbe) ma per via di un flusso anomalo di scommesse che ha fatto pensare a un risultato già deciso prima dell'assaggio decisivo.
Ad allarmarsi per primi non sono stati né concorrenti né organizzatori, ma l'unico soggetto che poteva avere in tempo reale il polso della situazione, cioè la Bet1128 stessa, la quale infatti a poche ore dall'inizio della trasmissione ha sospeso le puntate. Come si fa nelle sale-corse e anche in Borsa con le azioni, allorché si spande nell'aria il puzzo di bruciato. "Abbiamo deciso di sospendere le scommesse perché sono arrivate giocate anomale per quanto riguarda sia l'importo, molto elevato, che per quanto riguarda la tempistica", spiega Maria Nice Giannini, ufficio comunicazione di Bet1128. "Le puntate sono arrivate tutte insieme - precisa Giannini - alle 2 del pomeriggio del 6 marzo: fino a quel momento era Almo il favorito, poi da lì in poi la si è invertita completamente la tendenza con importi consistenti puntati su Federico". La quota di Federico Ferrero, che non era il favorito, crolla da 6 a 2,50-2,35. "Le singole scommesse - continua Giannini - erano per entrambi i concorrenti dell'ordine di 400-500 euro, poi sono schizzate di colpo a 7-9 mila euro e tutte su Ferrero, cifre notevoli per un reality. Alla fine abbiamo contato giocate complessive di 20 mila euro su Federico, circa il 90% delle puntate era su di lui". Quasi tutte provenienti dal centronord e in particolare da Milano, dove sono gli studi di SkyUno che ha trasmesso la finale in diretta, inconvenienti compresi: trapestii e casini vari al momento della proclamazione, qualche 'vaffa', recriminazioni e dissapori al limite dello scontro fisico. La manipolazione organizzata a monte del programma era troppo evidente perché non potesse suscitare sospetti, anzi certezze di taroccamento, e di sicuro influirà sul meccanismo della prossima edizione, che comunque sarà ripetuta, visto il successo degli ascolti.
Che lezione trarre? Se proprio gara deve essere, meglio quella che organizzava Nero Wolfe tra i manicaretti di sua invenzione eleggendo i suoi ospiti come giuria, e come nella realtà faceva Ugo Tognazzi, nella sua villa di Velletri quando invitava gli amici a cena: "Per noi era talmente imbarazzante - racconta un reduce di quelle serate - non sapevamo mai cosa scegliere, tra tortelli di ricotta dura con salsa di melanzane, testicoli di vitello al pernod e filetti di pesce persico al risotto di gamberi: Ugo era un padrone di casa squisito, ma come cuoco, meglio lasciar perdere'..."