Avvocato in vigna: assolto perché il fatto non costituisce reato (art. 530, comma 1, cpp)

Avvocato in vigna: assolto perché il fatto non costituisce reato (art. 530, comma 1, cpp)


di MARCO CARLIN  - carlin.marco@libero.it

 

L’etichetta della bottiglia dice che..“…Il Fumin è un vino difficile da coltivare e difficile da bere. Non abbiamo voluto rendervi il compito più facile, il nostro Fumin è come deve essere: potente, profumato e corposo. Speriamo vi piaccia e se così non fosse, amici come prima….”

Mai vista un’etichetta così, eppur non mi stupisce affatto. Da queste righe emergono la sintesi del vino in bottiglia, ma ancor di più la personalità di chi lo produce. Quindici anni fa, mentre Stefano Di Francesco inizia una brillante carriera di avvocato, impianta una vigna abbarbicata su uno spuntone di terra incolto e arido, nella collina di Saint Pierre, in Valle d’Aosta. Suo padre e suo fratello, Ennio e Nicola, entrambi medici, sono con lui. Un contesto bizzarro che segna una produzione e una vigna che non sono “normali” e non lo saranno mai. Insieme ad una quarta ed una quinta persona, Luigi Gasperi e suo figlio Jean, iniziano l’avventura. La prima bottiglia la si stappa nel 2009. E’ il frutto di due vitigni autoctoni: il Mayolet e il Pinot Noir. Il nome del vino è “Planchettes” che,  in dialetto locale, significa terrazzamento. Spesso si ripeterà un ritornello che lega passione, terra, amicizia, gusto del bello e del buono. Sono certo che nei momenti di maggior fatica, quando spesso ci si ritrova in pochi, qualche moccolo non se lo sia risparmiato, ma visto che son passati quindici anni e la vigna è cresciuta e le bottiglie in cantina pure, vuol dire che la passione è prevalsa. In questi anni, mi racconta, hanno ascoltato tanti suggerimenti con umiltà e fiducia, fin quando hanno deciso di sbagliare da soli. Si sono documentati, specializzati, hanno trovato il punto di incontro tra un terreno enologicamente favoloso e il vitigno che più lo gradiva. L’ultimo nato è il Fumin ed esprime al meglio questo concetto.

 

E’ difficile da bere e da coltivare, perché: “…….l'etichetta è stata scritta da Jean Gasperi, figlio di Luigino, che ha ben interpretato la natura del Fumin. Il vitigno Fumin è difficile da coltivare per vari motivi...quando a marzo si legano i tralci al filare tende facilmente a spezzarsi...bisogna aspettare fino all'ultimo che "pianga" tanto...poi le gemme tendono a crescere in orizzontale ...più che in verticale...quindi bisogna stargli molto dietro per contenere la pianta all'interno del filare... poi non è molto generosa... nel senso che i grappoli sono pochi... seppur bellissimi... Per contro patisce poco la botrite (muffa)... ha una buccia resistente... si vendemmia generalmente a fine ottobre... primi di novembre... ed è sempre bellissima, con un colore violaceo impressionante. Al bicchiere è un vino difficile perché molto speziato... quasi erbaceo… con un tannino importante che tende all'astringenza..quindi ad una bocca non educata al vino risulta un po' aggressivo... Andrebbe fatto ossigenare un po'... e abbinato a cibi "importanti"... Noi facciamo Fumin al 100%... metodo talebano... senza tagli con altre uv... né sovra maturazioni in cassetta (ciò che molti fanno per ammorbidirlo un po'). E' una scelta di gusto che ci possiamo permettere perché abbiamo poche bottiglie (circa 1.000)... altri produttori tendono giustamente al gusto più morbido, come pretende il mercato. Poi ogni anno il nostro Fumin cambia a seconda della stagione... non lavoriamo in cantina con mosti o correzioni varie...quindi è sempre una sorpresa di anno in anno... quest'anno dovrebbe venire tanta roba... vista la stagione caldissima….”

Si, è stata una buona estate e i muri che sostengono i terrazzamenti della vigna hanno aggiunto qualcosa in più: hanno incamerato il sole torrido delle giornate di luglio per restituirlo di notte, mantenendo così una temperatura media più elevata rispetto alla tipologia del territorio. E’una peculiarità che in cantina fa la differenza, un grado in più certamente. Il maggior calore lo si percepisce anche solamente camminando tra i filari; non basta la leggera brezza della montagna a mitigare il caldo che sale dalla terra e si mischia con l’odore acre dello zolfo seccandoti le narici. Fa caldo!... e i terrazzamenti disposti a conca sembrano voler conservare ad hoc la preziosa temperatura. Questi balzi di vigna si chiamano con un nome proprio: “Striscia di Gaza, Spianata delle Moschee, Leon, Terra di Mezzo, Torquato, Santo Sepolcro, Grenn, Discordia ecc. ecc. e Wilma I, II, II”. Wilma è la mamma di Stefano e Nicola, nonché il prestanome legale dell’azienda. I nomi sono scritti con un pennarello nero indelebile su una lamiera di zinco infissa in terra mediante un ferro d’armatura da “8”. Oltre al nome, in alto a sinistra, compare un numero e un nome, che stanno a significare quantità di viti e tipologia del vitigno. Una classificazione fuori da ogni standard europeo, concepita in funzione dell’emotività del momento. Unica e perfettamente contestualizzata. Ho chiesto a Jean, uno dei manovali dell’azienda, di rivivere i momenti simpatici della sua avventura:…”

Fino a pochi anni fa pensavo che il palanchino fosse un piccolo animale marino. Poi una mattina di aprile, alle sei e un quarto, ossia all’ora in cui di solito apro un occhio, controllo i numeri verdi della radiosveglia e mi giro dall’altra beato per dormire ancora due orette: ho capito. Un trattore acceso, un barile pieno d’acqua con le piantine di vite in ammollo, chilometri di spago bianco con segni rossi e lì, appoggiati alla baracca degli attrezzi, due enormi chiodi d’acciaio. Al secondo insulto ho capito che l’ordine di prendere il palanchino si riferiva ad uno di quei cosi, così ho scartato l’ipotesi ittica. Siccome poi in vigna non si pensa ma si agisce, ho imparato in fretta che quello strumento di tortura serviva per fare i buchi nel terreno e i calli nelle mani. Mani da impiegati, cinque impiegati. Due anestesisti, Ennio e Nicola, un avvocato, “Steo” appunto, più mio padre ed io, assicuratori di quartiere. Eugenio detto Ennio è l’ideatore del progetto vigna nonché l’investitore, noi, gli altri, siamo i manovali. E non è facile fare i manovali quando fino al giorno prima pensavi che possedere manualità volesse dire far canestro nel cestino dell’ufficio. Dopo un po’ di panico, quella mattina ci siamo divisi i compiti e abbiamo seguito alla lettera le informazioni del tecnico chiamato a darci le dritte iniziali. Le barbatelle, che non sono donne bruttarelle e pelosette, ma piantine della vite, erano 600, un mare di pacchi di plastica contenenti quelle preziose piante così dette per vie delle loro lunghissime radici. Radici che vanno accorciate parecchio prima di interrarle, “sfumatura alta” aveva detto l’enologo, vanno lasciati solo tre o quattro centimetri. Ennio non ci riusciva, gli piangeva il cuore e soprattutto il portafoglio, è ligure, e così le lasciava abbondanti, non si sa mai che muoiano, con quel che costano cadauna. Poi però con la sfumatura bassa alla Ennio non riuscivamo ad infilarle nei buchi e dopo un numero imprecisato di bestemmie ci siamo scambiati i lavori. Io tagliavo senza pietà, lui e Steo palanchinavano e gli altri mettevano in pristino. L’italiano in vigna assume accezioni sconosciute e misteriose, i sostantivi diventano verbi, i verbi diventano tutti transitivi: esci il martello, entra la pianta; mettere in pristino, nel nostro personalissimo gergo viticolo, voleva dire che mio padre con una specie di palanchino a pressione iniettava nel terreno la prima acqua per la barbatella e data la pressione del getto l’operazione serviva anche a fissare la pianta nella terra. Dal dizionario vigna-italiano-italiano-vigna si possono citare altre espressioni fondamentali di origine valdostana e non:

§                                 Ahh ecco! = finalmente ho capito!

§                                Chi quello? = di chi si sta parlando?

§                                 Gli ho dato l’unto = l’ho malmenato

§                                 Bastalo = fa sì che secchi mediante l’uso del diserbante

§                                 Pugnettistico  = fine a sé stesso, riferito solitamente ad un lavoro in svolgimento

§                                 Ad minchiam = fatto con poca attenzione, riferito ad un lavoro svolto non bene

§                                 Eu = c’è qualcuno?......”

Tra esperienze e intoppi sono arrivati ad una produzione complessiva di circa 5000 bottiglie annue. Naturalmente le fasi di vinificazione le completano appoggiandosi a strutture consortili, con mezzi tecnologicamente avanzati, altrimenti non  riuscirebbero a proporre un prodotto di grande qualità ad un costo di mercato. Quale mercato: presenza sul territorio in occasione di manifestazioni di pregio,  passa parola, sito web e conoscenza diretta da parte dei conduttori …che non è poca.