Il gusto del Sake conquista gli italiani

Il gusto del Sake conquista gli italiani


IL GUSTO DEL SAKE CONQUISTA GLI ITALIANI

 

 

 

di Vincenzo Coli

 

 

 

Domandina facile facile. Quando vi sedete a tavola sventolate il Tricolore e pretendete solo piatti locali a km zero, oppure vi lasciate tentare dalle pietanze esotiche, che sono uno dei lati positivi della globalizzazione? Per farla breve, come state a conoscenza del sushi? Se questa meraviglia della cucina giapponese vi piace (e vi piace, ne siamo sicuri: non conosciamo nessuno che, dopo aver superato il tabù culturale del pesce crudo, non ne sia stato conquistato), è il momento di farsi sedurre da un'altra eccellenza del Sol Levante: il sake, la bevanda più amata da quel popolo lontano. Lo producono da almeno duemilacinquecento anni, e dopo aver esportato con successo gli involtini multicolori di pesce capolavori di arte moderna, oltre che bocconcini deliziosi, i giapponesi ora hanno deciso di fare conoscere a noi occidentali, tanto fieri della civiltà del vino, un modo diverso, e non meno appagante, di bere.

 

Ricavato dal riso, il sake è prodotto dalla fermentazione di un microrganismo, detto koji, e di lievito. Il suo contenuto alcolico può variare dal 13 al 16%. Per fare il sake ci vuole acqua ottima, che in Giappone abbonda ovunque. Molte, almeno diciotto, sono le varietà del sake, abbinate ad ogni stagione e consumate fredde o calde, in una tazzina o in un bicchiere; dettaglio non da poco, perché i palati più avvertiti capiscono quando il sapore cambia, se ad accogliere il nettare è la terracotta, il legno o il vetro. Versatile nell’abbinamento al cibo - sushi, sashimi, tempura - tanto da essere definito “vino di riso”, è ottimo anche a fine pasto. E se bevuto con moderazione, il sake può persino rivelarsi la miglior medicina in circolazione. Ricorda un po' la nostra grappa, ma in quel superbo distillato orientale si possono riconoscere molte più varianti di gusto e sfumature di sapori. Naturalmente bisogna andarci piano, altrimenti si rischia di finire sotto il tavolo come il protagonista de “Il gusto del sake”, un film di Yasujiro Ozu, che con il suo stile sobrio ed essenziale ci ha raccontato molto del Giappone, gli usi e costumi ma anche l'etica e il senso estetico.

 

L'operazione di conquista delle papille gustative italiane viene sapientemente condotta dalla Japan Expand Media Brotherhood. Se siete incuriositi scrivete alla signora Kiyomi Otawa (kiyomisiena@libero.it) che si occupa della promozione del sake con la tenacia e la grazia tipiche della cultura nipponica, e anche con una certa audacia e sprezzo del pericolo, visto che Kiyomi organizza degustazioni da applauso in campi neutri come ristoranti e associazioni culturali, ma anche dentro quei baluardi inespugnabili del vino nazionale che sono le enoteche. Del resto, chi sa apprezzare tutte le declinazioni dell'eleganza, dai colori tenui di un kimono alla melodia suonata sulle tre corde dello shamisen, fino al sorriso incantevole della ragazza che ti versa il sake e non ti puoi rifiutare anche se sei arrivato al quindicesimo assaggio, non cadrà mai nella tentazione di uno sciocco nazionalismo. E' la bellezza degli opposti, è l'inesplicabilità degli ossimori ad attirare; quella leggiadria femminile e quella gentilezza fuori del tempo, quei giardini tutti sassolini e niente fiori eppure straordinariamente armoniosi, quei libri da sfogliare al contrario, suscitano stupore in chi non è abituato all'idea della diversità, e al contempo affascinano e destano ammirazione, c'è poco da fare. L'importante è sapersi fermare al momento giusto, esattamente come si fa col lambrusco. I giapponesi accolgono con simpatia moderati stati di ebbrezza e anche le gaffes. Ma una, se possibile, cercate di evitarla: ricordatevi, al momento di levare i calici, di dire kanpai!, assolutamentenon cincin! , se non volete far arrossire le signore. Cin, infatti, in Giappone ha lo stesso significato platealmente osceno del belin genovese.